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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254911
Saltini, Guglielmo Enrico 50 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

forestieri. E oggi i nuovi documenti resi di pubblica ragione, e le studiate monografie di quegli artisti e di quelle opere, che abbisognavano di più

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Ma se al regio architetto Paoletti si deve grande riconoscenza per quello che fece, più assai conviene tributargliene per quello che seppe insegnare

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PASQUALE POCCIANTI di Bibbiena, terra popolare del Casentino in Toscana (n. 18 maggio 1774, m. 18 ottobre 1858), ebbe da natura le più belle doti

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Paolo eretta in Livorno nel 1832. Eletto poi gonfaloniere nella nostra città, nel 1842 procurò che dal Comune si aprisse più ampliamente quel tratto di

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palazzo di Viareggio rimasto incompiuto, sono monumenti che basterebbero soli alla fama di un artista. Ma l’opera sua degna dei più bei tempi dell’arte è

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1849 gli Austriaci, distrussero barbaramente quanto veniva loro tra mano, e il patrimonio più caro del Gherardesca, i suoi studj e le sue memorie

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del Bettarini. Dal 1815 in poi servi lo Stato in più e diversi uffici dell’arte e sempre riportò lode come valente e integerrimo. Il grandioso lavoro

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Noi abbiamo veduto qual fosse in Toscana l’Architettura innanzi che il Paoletti ed i suoi valorosi allievi la riconducessero a più veri principii; ma

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Ecco quanto ci parve più importante raccogliere intorno alle presenti condizioni dell’architettura in Toscana. Invero troppo poche notizie son queste

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del marmo, a quelle più vere della scultura. Lo dica quello stesso velo di che volle coperta la faccia di questa Fede, per secondare il gusto

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sarebbe andato più innanzi; pure la semplicità della composizione che più al vero s’accosta, e la parsimonia che usò negli ornati lo manifestano scultore

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noi ricordarne brevemente le più famose statue. E prima quella voluttuosa Baccante, la quale menò tanto grido di sè, e che sebbene respiri tutta

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morale (nella quale operazione della mente, non ebbe fin qui, nè forse avrà mai chi gli stesse a paro), cercava nel vero le forme più adatte a

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prima un bambino che sorride scherzando con un cane, poi un altro assiso in terra che porge fiori. Nel 1830, quando l’architetto Baccani fece più

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nome, e fu da ricchi stranieri fatto ripetere più volte; e la Baccante, il Mercurio, la Danzatrice, la statua colossale di Ferdinando III a Livorno

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Diremo ora dei viventi che onorano la scultura in Toscana. Ma qui ci si conceda più che altrove la parsimonia del discorso e dei giudizi

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rifiorire tra noi, dandole maggiore incremento e molto più utili applicazioni. A chi ha veduto il R. Museo fiorentino di Fisica e Storia Naturale, non sono

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ritoccature, mostrandone! conservare i più delicati rilievi e sottosquadri della forma tale maestria, non più veduta ai nostri tempi.

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che più gli tocca da vicino; non solo manca intieramente all’Italia, ma anche ci fanno difetto le memorie, che pure saremmo in debito stretto di

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della più vera amicizia. Da lì in poi il Susini non si occupò d’altro che del disegnare e modellare membra umane, e tal volta intieri corpi. Molti Musei

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degno erede dell’arte bellissima del Susini e del padre. Ricordiamo volentieri la più grandiosa delle sue opere eseguita per la Università della

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esterni e superficiali, e fecero opera da non sapersi desiderare più bella, nè migliore. Morto il Susini gli successe il nostro Francesco, e col figliuolo

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Ma prima di lasciare la scultura e le arti che hanno con essa una più stretta attinenza, non vogliamo passare sotto silenzio quelle dell’intaglio in

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vero risiede, volle seguitare i più strani capricci, e si ridusse una matta convenzione, quasi diremmo una parodia. Pietro Leopoldo I, salito al trono

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tempo, a noi basterà ricordare una delle opere sue tenute allora più belle, quella macchinosa cupola della basilica di San Lorenzo, certi dell’aver

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dipinto prima d’ottenere codesto ufficio, nulla più fece poi; e abbandonati affatto i pennelli, parlò sempre ai giovani scuolari, ma non disse loro pure

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ed affetti, ebbe comune la fama del Mengs. Ma taluno vorrebbe considerarlo, e non senza ragione, più romano che lucchese, perchè a Roma solamente fece

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lo stato dell’arte quando essi fiorivano. Ingegno e pratica delle matite e dei pennelli non possono loro negarsi, ma erano nulla più che manieristi

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, fregi, soffitte, facciate, insomma ciò che dicono in arte far quadrature. Dipinse pure a olio con gusto, più specialmente frutta e fiori, e si attentò

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, specialmente nella reai Cappella, e quelli della SS. Annunziata e di Sant’Ambrogio; ed a porgere più adeguata idea di quella sua strana fantasia, basti dire che

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. — Il Benvenuti (n. in Arezzo il 18 gennajo 1769, m. in Firenze il 3 febbrajo 1844), fatti i primi e più certi passi nell’Accademia fiorentina

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’ingegno veramente originale, fecondo nell’immaginare e più ancora nell’eseguire, mirò a raggiungere la perfezione per nuove vie. Improntava a penna in sulla

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dipinto per la chiesa di San Paolo a Napoli. Ma una delle opere che più fece onore al Nenci sono i soggetti che disegnò maestrevolmente sulla Divina

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XVIII ai dì nostri, può dirsi presso che nuovo, ben poco trovandosene nei libri. Ma comunque la brevità del tempo che ci fu assegnato (poco più di un

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pregi del Bezzuoli; ai quali quando si fosse congiunto maggiore studio nel comporre, un po’di parsimonia nella tavolozza, e tal volta più cura nel

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pennello, fosse più di sovente veduta, si avrebbe maggior riverenza al Bezzuoli. E infine, per tacere di tanti e tanti altri, ricordiamo la immensa tela

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Ma uno dei meriti più rilevanti del Bezzuoli fu nel dipingere a fresco; e per coloro che hanno veduto di lui Alessandro il Macedone nello studio d

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GASPERO MARTELLINI di Firenze (n. 15 febbraio 1785, m. 20 ottobre 1857), venuto anche esso dalla scuola del Benvenuti, riuscì pittore lodato più che

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resuscita il morto, opera che comprese di maraviglia gli stessi più valenti artisti, tanta v’è dentro sublimità di concetto e infinita sapienza dell’arte. Ma

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Giuseppe venduto dai fratelli. Dipinse più tardi un salone nella Galleria de’ Pitti, ove intese effigiare il carro del Sole oscurato da Minerva e

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istorie artistiche non ignorano affatto, ebbe più vera e propria vita ai tempi del granduca Cosimo I de’ Medici, che con forte dispendio fondò un ricco

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vuolsi, ma più infelice. Dato saggio della sua abilità nell’intagliare in rame, con alcuni pensieri che fece per una raccolta pubblicata dal pittore Anton

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valentissimo. Sono sua prima opera oltre alcuni disegni, fatti in aiuto del padre, di pitture del Camposanto pisano, e di altre del buon tempo, le più

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(1803); e questa con bell’esempio di non più veduta celerità, avendone al tempo istesso inciso il ritratto all’acqua forte sul rame, e tirate alcune copie

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, e il ritratto del generale Moncada a cavallo, dal bellissimo quadro del Wandik, dove il cavallo singolarmente raggiunge il più alto grado di

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Tra quelli che intesero a maggior castigatezza nell’arte, fu Giuseppe Salvetti fiorentino (n. 1734, m. 1800), che più puro nello stile, più grave e

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, studiò diligente sopra le opere dei migliori, e senza imitare nessuno si fece uno stile proprio e originale. Se la vita gli fosse durata più lunga, l

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; intorno alla più vera effigie della quale lesse (1824) nella Società Colombaria, a cui appartenne, una bella ed erudita memoria. — GALGANO CIPRIANI

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Ma l’allievo del Morghen che più sali in fama tra noi, e che oggi è capo di una bella e fiorente scuola d’incisori, è Antonio Perfetti di Firenze (n

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, riformata (1785) sopra più savi ordinamenti. Nel 1773 edificò ai bagni di Montecatini le tre principali fabbriche, oltre il regio palazzetto, cioè le

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